Nel Retablo di Sant'Eligio compaiono per la prima volta in un polittico tardogotico “sardo” due elementi chiave del Rinascimento: la grisaglia utilizzata per rappresentare immagini della mitologia classica. Di questo retablo, opera dell'impegno di almeno tre diversi ignoti pittori che passano sotto il nome convenzionale di Maestro di Sanluri, non si ha alcuna notizia documentaria che ne riporti la data di esecuzione, la committenza, l’ubicazione originaria. Il ricorso a una costruzione spaziale molto vicina alla prospettiva scientifica rinascimentale, ovvero la “costruzione con punto”, aiuta a collocare la sua esecuzione tra il primo e il secondo decennio del Cinquecento. L’unico appiglio cronologico che si può desumere dalla lettura delle immagini è il riferimento, in due scene della predella, a due stampe di Dürer: Cristo fra i dottori e Circoncisione della serie Vita di Maria, datate rispettivamente 1503 e 1505, che vengono liberamente riprese negli episodi con la Elemosina e la Prova dinnanzi a Clotario. Nella sua lunga storia il retablo ha subìto danni alla struttura, importanti cadute della pellicola pittorica e controversi interventi di restauro che compromettono il riconoscimento di alcune scene, ciò nonostante è possibile leggere buona parte delle figure. Le quattro scene in monocromo, danneggiate solo in parte, decorano il parapetto alle spalle dei due santi degli scomparti che fiancheggiano Sant'Eligio in trono. Due di esse, il Trionfo di Anfitrite e il Canto di Orfeo, sono state identificate rispettivamente da Georgiana Goddard King nel 1923 e da Carlo Aru; le altre due sono ancora in attesa di una appropriata identificazione. Nel pannello di sinistra, il Trionfo di Anfitrite rimanda al thiasos marino dipinto in grisaglia in uno dei pannelli marmorei che fanno da sfondo al dipinto con Giuditta e l’ancella col capo di Oloferne (1489), attribuito a Domenico Ghirlandaio e conservato alla Gemäldegalerie di Berlino. La medesima composizione è ripresa in un disegno del Codex Escurialensis, già attribuito a bottega di Ghirlandaio, che costituisce il modello utilizzato dal Maestro di Sanluri. Nella parte destra del medesimo parapetto si intravede una figura maschile nuda, in atto di camminare, reggente una lancia nella mano destra e uno scudo nella sinistra; sulla destra sono alcune protuberanze che richiamano un fondo roccioso e, in alto, quella che sembra essere una testa di un rapace. Non è ancora possibile stabilire a quale personaggio o episodio della mitologia faccia riferimento questa scena, come pure non è identificabile il soggetto della porzione destra del pannello destro con Sant’Antonio di Padova, dove compare un cavaliere che con la mano destra brandisce una spada e con la sinistra tira le redini di un cavallo imbizzarrito sovrastante un uomo a terra, la cui fonte iconografica è nel Taccuino Wolfegger, a sua volta debitore dei disegni di Giuliano da Sangallo nel Taccuino Senese S.IV.8 e nel Codex Vaticanus Barberinus Latinus 4424. Anche per il Canto di Orfeo è possibile trovare riscontri iconografici in opere rinascimentali aventi il medesimo soggetto. Resta ancora da individuare la figura cui la confraternita si rivolse per l’elaborazione di un programma iconografico così raffinato, da ricercare nelle fila di quella élite culturale che contribuì a creare, tra Quattrocento e Cinquecento, un’Europa mediterranea urbana, le cui manifestazioni più evidenti sono l’influsso dell’Umanesimo italiano nei territori iberici e la realizzazione di una società culturale unitaria.